Host - IX - SpazioRock

2023-02-27 10:22:35 By : Mr. Chuanbiao Xu

Quando nel 1999 i Paradise Lost rilasciarono il cupo e malinconico “Host”, approfondendo il sound commerciale già intravisto nel precedente “One Second (1997), sia critica che pubblico vennero dilaniati da dolorose divisione interne, con larga parte di esponenti di entrambe le sponde a gridare al tradimento. Un’evoluzione non accettata in toto, visto che gradualmente il gruppo britannico tornò sui propri passi, sino a riabbracciare il metal a partire “The Plague Within” (2015), con buona pace di elettronica e blandizie varie. Oggi che le tensioni appaiono definitivamente sopite e le commistioni di genere rappresentano una norma, Greg Mackintosh decide di riprendere quel discorso lasciato a bagnomaria con gli Host, collocandoli nel solco aperto dall’album omonimo di ventiquattro primavere fa. E la circostanza che al microfono presenzi la voce di Nick Holmes, la dice lunga sulla volontà di riprendere una strada forse abbandonata troppo presto, quasi un groppo in gola da estirpare e condurre finalmente alla luce.

La prolifica creatività dei due musicisti, manifestatasi alla grande in progetti collaterali dal taglio death (Bloodbath, Strigoi, Vallenfyre), partorisce, dunque, anche questo “IX”, un full-length un po’ gothic e un po’ synthpop, con The Sisters Of Mercy e Depeche Mode come riferimenti più diretti, ma che sa alimentarsi di GosT, Lustmord e Perturbator per scansare il pericolo del feticismo rétro. La natura notturna del disco, in linea con le decadenti atmosfere dei night club inglesi degli anni ’80 e ’90, costituisce, infatti, lo specimen moderno di un individuo sull’orlo della spersonalizzazione, ridotto a manichino privo di colori ed emozioni da un mondo sempre meno umano, aspetti che la gelida cover riesce a raffigurare al meglio. Il disco vive dell’attrito tra la freddezza meccanica dei sintetizzatori e l’orecchiabilità irresistibile dei refrain, ma tale conflitto appare soltanto la superficie di brani ricchi di sfumature, arrangiati con cura meticolosa e provvisti di strategiche sezioni d’archi che ne punteggiano i momenti importanti.

La scarna chitarra acustica in apertura di “Wretched Soul” non deve trarre in inganno, perché il prosieguo brulica di vibrazioni electro, dapprima in sottofondo, poi addirittura vorticose nel ritmo da dancefloor di “Tomorrow’s Sky”. Lampi di narcolessia wave, invece, attanagliano “Divine Emotion” e “Hiding From Tomorrow”, mentre profumi di Andrew Eldritch e Doctor Avalanche irrigano “A Troubled Mind” e “Inquisition”, con i sequencer d’antan che flirtano con i Type O Negative di “Bloody Kisses” in “My Only Escape”. D’altro canto, la cinematografica “Years Of Suspicion” e le cadenze marziali di “Instict” evocano volutamente gli spettri di Dave Gahan e soci, un auto-esorcismo capace di trasportarci in uno Zeitgeist che, pur in forme distopiche, ha molti più addentellati con la contemporaneità di quanto siamo disposti ad ammettere.

Il ponte oscuro costruito dagli Host riesce a congiungere le epoche in maniera così fluida e organica da risultare già iconico: music for the masses, “IX” ha le stigmate dell’instant classic.

01. Wretched Soul 02. Tomorrow’s Sky 03. Divine Emotion 04. Hiding from Tomorrow 05. A Troubled Mind 06. My Only Escape 07. Years of Suspicion 08. Inquisition

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