HAKEN: il nuovo album "Fauna" traccia per traccia!

2023-02-27 10:22:23 By : Ms. Anna Lee

A cura di Carlo Paleari

Dopo un’accoppiata di alto livello come “Vector” e “Virus”, due album pensati come un percorso unico e con delle evidenti similitudini, è importante per gli Haken riuscire a lasciare un segno, diversificando la propria proposta con qualcosa che sia al tempo stesso nuovo e coerente con il proprio percorso artistico. “Fauna”, da questo punto di vista, fa esattamente questo: conferma molte delle sonorità che abbiamo amato negli ultimi lavori , recupera in parte alcune atmosfere di “The Mountain” e “Affinity”, e vi aggiunge qualcosa di nuovo, complice anche il ritorno del tastierista Pete Jones, che ha dato una ventata di freschezza a tutte le composizioni. “Fauna”, dunque, è proprio così come viene rappresentato dalla sua efficace copertina, totalmente opposta al rigore monocromatico dei due precedente dischi: è colorato, mutevole, cangiante. La band, per l’occasione, ha deciso di seguire un tema comune, assegnando ad ogni composizione un animale, che finisce per esserne lo spirito guida. Il risultato è un album vivo, che necessita come sempre di molti ascolti anche solo per riuscire a sfiorarne la complessità. Da parte nostra sarebbe impossibile arrivare già oggi a formulare un giudizio, che rimandiamo come sempre alla recensione, ma ci limitiamo invece a condividere con i lettori le nostre impressioni a caldo, nel compito arduo – se non impossibile – di provare a tradurre con le parole questo caleidoscopio di suoni, note e parole.

Ross Jennings – voce Richard Henshall – chitarra, tastiere Charlie Griffiths – chitarra Pete Jones – tastiere Conner Green – basso Ray Hearne – batteria

FAUNA Data di uscita: 03 marzo 2023 Etichetta: Inside Out Sito Ufficiale Facebook

TAURUS (04:48) Iniziamo questo percorso nella nuova opera degli Haken con un brano già noto, “Taurus”, che la band ha presentato al pubblico giusto poche settimane fa. Non ci addentriamo molto quindi in descrizioni puntuali, ma ci limitiamo giusto a delle osservazioni per coloro che non avessero ancora avuto modo di ascoltare direttamente la canzone. L’apertura è dissonante, metallica e martellante, una fucina a pieno regime in cui leghe impossibili vengono fuse al calor bianco. La strofa ci introduce al solito pregevole gioco di incastri a cui la band ci ha abituato, con ritmiche arzigogolate che si alternano a grandi aperture melodiche, che danno ampio respiro all’ugola di Ross Jennings. Sonorità vecchie e nuove mantengono un ottimo equilibrio, complice anche il ritorno in pianta stabile del tastierista Pete Jones, per un brano che sintetizza in maniera eccellente il posizionamento attuale degli Haken.

NIGHTINGALE (07:27) Continuiamo con un altro brano già pubblicato, per passare fin dalle prime note ad atmosfere diverse. Accantonati i colori accesi di “Taurus”, qui ci immergiamo in atmosfere più umbratili, ben introdotte dal piano elettrico di Jones. La voce di Jennings sembra davvero librarsi nell’aria, mentre il resto della band inizia a disegnare trame sghembe, note che fanno capolino qua e là, prima di lasciare spazio alla chitarra elettrica che, pian piano, si eleva in un crescendo. Ottime armonie vocali ci riportano a grandi leggende del passato (pensiamo ai Gentle Giant, o agli Yes), ma la coda finale strumentale è invece un concentrato di progressive metal moderno, trascinante e potente, in cui chitarra e tastiere dialogano seguendo percorsi invisibili. Chiude il tutto con eleganza una sezione in cui Jennings canta linee cristalline accompagnato dal canto degli uccelli, per lasciare poi spazio ad una rielaborazione del tema centrale della canzone, con il gruppo al completo.

THE ALPHABET OF ME (05:23) Arriviamo così alla terza ed ultima anticipazione dell’album e ci troviamo di fronte ad un taglio ancora diverso, il più sorprendente. Nei primissimi minuti sembra di aver a che fare con qualcosa che nulla ha da spartire con il metal: a farla da padrone sono ancora le tastiere e la voce di Jennings, con un andamento ritmato che non stonerebbe in un contesto pop contemporaneo. Sonorità sintetiche, un cantato molto ritmato eppure vellutato, suadente e perfino un po’ ruffiano. Quasi ci sorprende l’ingresso delle chitarre distorte tanto il brano sembra andare in tutt’altra direzione. Centrale il ruolo di Pete Jones che punteggia tutta la composizione di sonorità digitali, per poi ritirarsi con l’arrivo delle sezioni più energiche. Molto interessante anche l’uso dei cori e la bellissima coda finale, dalle sonorità vicine a certe cose di Peter Gabriel degli anni Ottanta, in cui fa capolino una tromba ad accompagnarci al finale.

SEMPITERNAL BEINGS (08:23) Il primo tuffo nell’ignoto arriva con “Sempiternal Beings”, una canzone che parte in sordina, un po’ come “Nightingale”, giocando ancora sui contrasti tra la voce morbida di Jennings e la trama ritmica, ma basta poco perchè la band inizi a spingere, in una sempre efficace alternanza di passaggi dritti e potenti, con momenti più vorticosi in cui la musica si libra nell’aria trasportata da correnti ascensionali. La batteria di Ray Hearne cesella piccoli capolavori indiavolati e la band gli va dietro con gusto, con le chitarre a spingere sull’acceleratore e il tastiere che questa volta non giocano di fino, ma forniscono un poderoso tappeto sonoro che aggiunge spessore e colore alla composizione. Raggiunti i due terzi del brano gli strumenti riprendono ad incastrarsi come in un meccanismo di precisione perfetto, ora minuscolo, ora maestoso ed imponente, per poi recuperare la linea melodica principale, accompagnando il cantante in un ultimo vortice di note. Senza dubbio uno degli episodi migliori dell’intero album.

BENEATH THE WHITE RAINBOW (06:45) Continuiamo ad assistere ad un imponente lavoro di incastri anche con “Beneath The White Rainbow”, ma questa volta a cambiare è l’atmosfera, che si fa più riflessiva, quasi malinconica. Dopo circa un minuto e mezzo il tema melodico si fa più concitato, con Jennings ad alzare il tono della voce su ottave più alte e le chitarre a danzargli intorno, ora seguendo la melodia vocale, ora staccandosi in evoluzioni intricate. Bello il break in cui batteria e piano si dribblano in un gioco di finte e accelerazioni, prima di riunirsi nuovamente al resto degli strumenti. Il finale, invece, è un vortice di puro progressive metal tecnico, con un taglio cibernetico sottolineato anche dall’effetto filtrato applicato sulla voce. Complessivamente un buon episodio, ma meno frizzante rispetto a quanto ascoltato finora.

ISLAND IN THE CLOUDS (05:21) Si inizia solo con il basso e la batteria a dialogare con la voce del cantante, poi pian piano si aggiungono chitarre e tastiere a costruire l’ennesimo congegno perfetto intorno alla melodia primaria. Un piccolo assolo crimsoniano ci traghetta nella sezione centrale, più elettrica e lineare, in cui compaiono cori sempre curati ed azzeccati. Il brano prosegue quindi con questa alternanza tra momenti più arzigogolati ed altri più epici in cui tutti i membri della band si incontrano bilanciando passato e presente

LOVEBITE (03:49) Il brano più corto di tutto “Fauna” si apre con una mitragliata elettrica che chiarisce fin da subito la volontà di fare qualcosa di più diretto ed immediato. Stiamo però pur sempre parlando degli Haken, una band che rifugge la semplicità, e anche “Lovebite” non fa eccezione: l’atmosfera cambia già dopo pochi secondi, con le chitarre a ritirarsi in favore della sezione ritmica, che inizia a costruire un brano dalle tinte funky, che convince nel suo essere al tempo stesso estremamente accessibile eppure complesso. Anche in questo caso la canzone si evolge in un continuo saliscendi, ora elettrico e metallico, ora più immediato, riprendendo quelle atmosfere anni Ottanta che abbiamo già apprezzato in “The Alphabet Of Me”. Il finale è un tripudio che prende entrambe queste anime e riesce in qualche modo a farle convivere. Dopo due brani passati un po’ in sordina, un altro piccolo gioiello.

ELEPHANTS NEVER FORGET (11:07) Arriviamo, quindi, alla composizione più lunga di “Fauna”, che si apre con una pregevole linea di chitarra elettrica, accompagnata da un pianoforte essenziale e luminoso, che lascia ben presto il posto ad un tappeto di synth maestoso e regale. Un attacco che, complice l’immaginario zoomorfo, ci ha ricordato subito il Devin Townsend solista. Si passa quindi ad un momento di pura giocoleria musicale, che prende la forma di un altro omaggio ai migliori Gentle Giant, ma è già tempo di cambiare nuovamente, riprendendo a muovere quegli ingranaggi di matrice math rock che tanto piacciono a questi musicisti mostruosi. E’ come un grande puzzle, in cui ogni sezione sembra indipendente e diversa dalle altre per forma e colore, ma che acquisisce immediatamente un senso una volta posta nella sua corretta posizione. L’ascoltatore, però, non rimane spiazzato, perchè la band è sempre attenta ed intelligente nell’inserire richiami, rimandi, segmenti melodici che si ripetono, facendo sì che la direzione rimanga comunque chiara. Siamo ad appena cinque minuti di durata e sembra di aver ascoltato già cinque canzoni diverse, e la seconda metà del brano non è da meno, con un maggiore risalto alla componente metallica, grazie all’ottimo lavoro della premiata ditta Henshall/Griffiths.

EYES OF EBONY (08:32) L’album si chiude quindi con “Eyes Of Ebony”, un brano dedicato al padre di Henshall, scomparso proprio durante le sessioni di scrittura di “Fauna”. Anche in questo caso torna prepotentemente il math rock, ma questa volta con un taglio dimesso, malinconico e solenne, perfetto per la tematica trattata. Punto di forza, oltre alle chitarre stesse, la voce setosa di Jennings, particolarmente ispirata. Passati i primi due minuti, la canzone inizia ad evolversi in qualcosa di più potente, con una sezione centrale guidata dal basso di Conner Green, che detta le coordinate che verranno seguite di lì a poco da chitarra e pianoforte. La voce di Jennings si fa ancora più sottile e si insinua nelle trame strumentali senza essere mai soverchiata, anche nei passaggi più gravi e metallici. Si prende ancora fiato ad un paio di minuti dalla fine, con solo le due chitarre a duellare in punta di fioretto, e poi tornano le atmosfere liquide ed eteree che abbiamo descritto all’inizio del brano, per una chiusura elegante e di gran classe.